di Silvano Danesi
Il rapporto tra la luce e le tenebre è questione primordiale, ha implicanze teoretiche, teologiche, psicologiche e si è concretizzata in azioni che hanno significative conseguenze nella vita dei singoli, dei popoli, dell’umanità.
Nell’ambito latomistico, nel quale si dipana questa breve riflessione, tale questione si coniuga con quella, spesso sottaciuta e sottovalutata, della sostanziale differenza tra la tradizione libero muratoria, cosiddetta operativa, e le tradizioni che nel loro insieme costituiscono quella libero muratoria speculativa.
La tradizione massonica operativa, come è riscontrabile in alcuni documenti, quali il Poema Regius e il Manoscritto Cooke, ha i suoi principali riferimenti nelle figure, sia pur mitizzate, di Euclide, di Pitagora e di Hermes il filosofo e pertanto incardina il suo pensiero nella filosofia greca antica e nel debito che essa ha con la sapienza egizia.
Tali riferimenti radicano la tradizione libero muratoria operativa in una concezione del mondo armonica, che concepisce l’essere umano come un artefice che ha il suo paradigma nell’ordine cosmico.
La tradizione libero muratoria operativa è primordiale, ancestrale e riscontrabile in una molteplicità di luoghi, laddove i manufatti dell’essere umano riproducono le armonie cosmiche, siano essi quelli del megalitismo, delle piramidi, delle zigurat, delle cattedrali gotiche o delle varie testimonianze di un’antichità costruttiva che contiene in sé la numerologia e la geometria del cosmo e le proporzioni essenziali della natura.
In questa tradizione l’architetto terreno è colui che imita l’arché-tecton, l’architetto divino, il logos, potere dinamico improntante e realizzante dell’arché, ossia dell’origine.
In questa tradizione l’essere umano è collaboratore del Grande Arché Tecton dell’Universo.
La tradizione libero muratoria cosiddetta speculativa, innestatasi su quella operativa nel XVII secolo, contiene in sé molteplici linee di pensiero, non sempre tra di loro compatibili, anzi, spesso tra di loro contrastanti.
Credo pertanto di poter affermare, sia pure in queste brevi considerazioni, che la tradizione libero muratoria operativa sia quella fondativa della moderna massoneria; quella alla quale si dovrebbe guardare come al riferimento paradigmatico essenziale.
La tradizione libero muratoria speculativa, al contrario, con le sue evidenti interne contraddizioni, anche se artatamente fatta assurgere a fattore costitutivo legittimante, va frequentata con grande attenzione e spirito critico, per non cadere nella trappola delle Costituzioni di Anderson, frutto della massoneria speculativa hannoveriana, o in quella delle Costituzioni federiciane, che, in contraddizione con l’essenza del pensiero libero muratorio, contengono riferimenti al dogma e alla dottrina.
Cosa abbia a che fare questo preambolo con la questione della luce e delle tenebre è comprensibile con alcuni esempi, non essendo possibile, nell’economia di questo lavoro, allargare l’orizzonte fino a comprendere un insieme complesso di linee di pensiero che andrebbero opportunamente approfondite.
Se, come s’è detto, la massoneria operativa ha come riferimento la Grecia classica, vediamo cosa pensavano i greci del rapporto tra la luce e le tenebre.
Aristofane (450-385 a.C.) negli Uccelli scrive: “Da principio c’era Caos e Notte ed Erebo [tenebra] nero e l’ampio Tartaro [realtà tenebrosa e sotterranea], ma non c’era terra né aria né cielo; e nel seno sconfinato di Erebo Notte dalle ali nere genera anzitutto un uovo sollevato dal vento, da cui nelle stagioni ritornanti in cerchio sbocciò Eros il desiderabile [entità primigenia vivificatrice dell’universo], con il dorso rifulgente per due ali d’oro, simile a rapidi turbini di vento. E costui di notte mescolandosi con Caos alato, nell’ampio Tartaro, fece schiudere la nostra stirpe, e prima la condusse alla luce. Sino allora non c’era la stirpe degli immortali, prima che Eros avesse mescolato assieme ogni cosa; ma essendo mescolate le une alle altre, nacquero Cielo e Oceano e Terra e la stirpe senza distruzione di tutti gli dei felici”.
Aristotele ci ricorda che i teologi “fanno iniziare la generazione dalla Notte”. (Metafisica).
Eudemio di Rodi (370-300 a.C) scrive: “E la teologia tramandata da Eudemo il Peripatetico, e da lui attribuita ad Orfeo, passa sotto il silenzio tutto ciò che è oggetto dell’intuizione, in quanto totalmente inesprimibile e inconoscibile….E assume il principio della Notte, da cui prende le mosse anche Omero, anche se non con una genealogia continua. Non bisogna difatti accettare l’affermazione di Eudemo, secondo cui Omero inizierebbe da Oceano e da Teti, poiché Omero sembra sapere che la Notte è la più grande divinità, al punto che lo stesso Zeus la venerava: «invero egli temeva di fare cose non gradite alla Notte, la veloce». Dobbiamo dire dunque che anche Omero comincia dalla Notte. Quanto a Esiodo, mi sembra essere stato il primo a considerare il Caos, a chiamare Caos la natura inafferrabile dell’oggetto dell’intuizione e compiutamente unificata, e ad aver posto accanto a esso in seguito la Terra, come principio dell’intera generazione degli dèi…”.
Crisippo, (281-277 a.C.) in un frammento afferma: “….e nel primo libro dice che la Notte è la primissima dea”.
Il neoplatonico Ermia (V sec. d.C.) introduce Fanes. Nel Commento al Fedro di Platone scrive: “Certo a Protogono nessuno guardò con i suoi occhi, se non la Notte sacra; ma tutti gli altri si stupirono scorgendo nell’etere uno splendore insperato: tale luce balenava dal corpo di Fanes immortale”.
Ancora Ermia (Commento al Fedro di Platone): “…nacque Adrastea, che è sorella di Ida: Ida dalle belle forme e la germana Adrastea [significato: inevitabile. Figlia di Ananke, la necessità] … perciò si dice che anche essa faccia strepito davanti all’antro della Notte: diede nelle mani ad Adrastea bronzei cimbali. Sulla porta dell’antro della Notte, difatti, si dice che Adrastea faccia strepito di cimbali ….Dentro invero, nel santuario della Notte, siede Fanes, e nel mezzo sta la Notte che profetizza per gli dei. Davanti alla porta invece sta Adrastea, che plasma per tutti le leggi divine. ….E oltre a ciò disse che queste sono creature della Notte, che rimangono dentro di lei…. E la Notte a sua volta generò la Terra e l’ampio Cielo, li rivelò manifesti, da nascosti che erano, e quali sono per nascita”.
Giovanni Malalas (V secolo, Cronografia) scrive: “Da principio si rivelò al tempo l’Etere creato dal dio; e di qua e di là dell’Etere vi era Caos; e Notte tenebrosa copriva tutte le cose e nascondeva quanto era sotto l’Etere…. E Orfeo disse che la terra era invisibile a causa delle tenebre….dicendo che la luce che aveva squarciato l’Etere era quella dell’essere … più alto di tutti, il cui nome lo stesso Orfeo, avendolo udito dall’Oracolo, rivelò come Metis, Fanes, Erichepo”.
Infine, Filodemo (110-35 a. C. Sulla Pietà): “In alcune fonti si dice che tutte le cose derivano da Notte e da Tartaro, in altre invece che derivano da Ade e da Etere. Chi ha scritto la «Titanomachia» dice che le altre cose discendono da Etere, mentre Acusilao dice che il primo da cui discendono è Caos. Nelle poesie poi attribuite a Museo sta scritto che dapprima ci furono Tartaro e Notte, e per terzo Aere”.
Fanes, scrive Giorgio Colli, [i]è “il dio dell’apparenza, in generale, ma di un’apparenza ambigua: da un lato come unica realtà possibile, che gode del suo splendore e della sua visibilità in quanto forma di un’esistenza totale; dall’altro lato come una figura che esprime, manifesta qualcosa che apparenza non è, l’emergere in altra forma, con un sussulto di una realtà abissale”.
In questo “sussulto” di una realtà abissale risiede l’aspetto forse più significativo del rapporto tra la luce e le tenebre, intese come abisso, poiché il concetto di abisso chiama in causa l’arché.
Vediamo, dunque, come concepivano l’arché i filosofi della Grecia antica.
L’arché in Parmenide è l’Essere e il fondamento di tutte le cose. In Aristotele l’arché consiste nell’essere origine e fondamento per l’Essere, il divenire e il conoscere.
Anassimandro chiama l’arché apeiron, l’illimitato, l’imperituro, l’indistruttibile, l’inesauribile e la definisce anche theion, divino. L’apeiron di Anassimandro, scrive Eugen Fink è “il theion inteso come phýsis, la natura onnipresente, sempre assente, inesauribile, che racchiude in sé morte e vita, che genera e annienta….”.[ii]
L’apeiron di Anassimandro è l’abisso che fa uscire tutte le cose.
Arché, femminile in greco, deriva dalla radice indoeuropea *ark, che ha il significato di contenere, trattenere. *Ark è scrigno, arca. Arca dell’alleanza.
Arché è, dunque, un illimitato abisso, chiuso e silenzioso, fondamento di tutte le cose (ta panta) ed è phýsis che, secondo Aristotele, è l’uno originario, che è sempre, che permane e che è imperituro. La phýsis è l’arché di tutte le cose, divina, creatrice.
In Anassimandro, come spiega Eugen Fink, la phýsis “è il fondamento non cosale di tutte le cose percepibili nel pensiero, fondamento che permane imperituro in tutto il loro trapassare. La phýsis stessa non appare; è l’ente ad apparire, ma tutto ciò che appare viene fuori dal grembo della phýsis e in esso ritorna”. [iii]
La phýsis, in Eraclito, è l’eterna madre immutabile, il fondamento materno del mondo da cui erompe la luce che assegna alle cose (ta panta) la visibilità; è il grembo che tutto partorisce, è la Dea Madre.
La phýsis è l’Essere come origine. La Phýsis è l’inapparente, il velato, la profondità dell’Essere chiuso in sé. “La natura – scrive Eraclito – ama velarsi”.
L’arché è dunque phýsis, fondamento, abisso, grembo partoriente da cui erompe la luce come sophon, l’uno sapiente, la ragione del mondo di cui scrive Eraclito.
Il sophon è l’aperto, “il chiarore della comprensione in cui unità, totalità ed Essere appaiono diradati nel loro rapporto reciproco”. [iv]
Il sophon è l’aletheia dell’Essere e in Eraclito è il saphes, il chiarore della luce: fuoco semprevivente. Fuoco cosmico, che assegna alle cose la visibilità del loro aspetto; è il fulmine che nel frammento 64 Eraclito indica come la potenza che governa tutte le cose nel loro insieme (ta panta).
E l’ordine simbolico del fuoco è quello cosmologico del logos, ossia del sophon: ragione che attraversa il cosmo e custodisce la vicenda dell’apparire.
Il logos in Eraclito “è l’articolazione ontologica che attraversa l’aperto, il principio strutturale del sophon…; è la forza improntante e disponente”[v], che impronta e dispone le cose.
Il Prologo del Vangelo di Giovanni, che rientra nell’attuale ritualità massonica, evidenzia il reciproco rapporto tra l’origine (archè, phýsis) e il logos come luce che evidenzia tutte le cose che sono nell’origine e le impronta, le ordina, dà loro visibilità.
L’origine, arché, phýsis, è un principio creatore del quale il sophon è l’aspetto ordinante e, in quanto logos, improntante e custodente in un continuo avvicendarsi di krisis, separazione, e di krasis, mescolanza (la mescolanza di cui parla Aristofane a proposito di Eros): due vocaboli la cui radice *kr è anche quella di creare, ossia di fare.
Nel Prologo leggiamo che tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, ossia che l’attività creatrice dell’origine è propria del logos, che è nell’origine presso se stesso, così come Fanes, che risiede nel santuario della Notte (Ermia).
Qui si inserisce una riflessione sul concetto di cosa, che può essere phýsei onta o techne onta, dove nel primo caso le cose sono tali da partire dalla natura per opera del logos, che si propone come Grande Architetto dell’Universo, Archi-tecton, realizzatore dell’arché e, nel secondo caso, come derivanti dalla techne, per opera degli archi-tecton umani, che assumono il ruolo di collaboratori del logos e di custodi della phýsis.
Il Prologo continua poi affermando che nel logos era la vita e la vita era la luce degli uomini. Il vocabolo usato è zoé, ossia vita universale generale e, in quanto tale, luce degli uomini, ossia capace di trarre gli esseri umani all’esistenza (come l’Eros di Aristofane), assegnando loro la visibilità del loro aspetto e della loro identità, così come il fuoco semprevivente assegna la visibilità del loro aspetto a tutte le cose (ta panta).
Rimane, infine, il rapporto tra luce e tenebre.
Scrive l’evangelista che la luce risplende tra le tenebre o nelle tenebre e questa affermazione è coerente con quanto sin qui detto riguardo al logos come fulmine, che è nelle tenebre e le squarcia, dando visibilità a tutte le cose.
Meno chiaro è il rapporto tra luce e tenebra quando l’evangelista usa il vocabolo catalaben che nella traduzione dà luogo a: “ma le tenebre non l’anno ricevuta” o “accolta”.
Il vocabolo catalaben deriva da kata, dal significato di “in giù”, “che intensifica” e da lambano, dal significato di aggressivamente, prendere correttamente, afferrare esattamente, afferrare qualcosa con forza.
Si potrebbe, pertanto, tradurre come afferrare in modo forte in giù, ossia riportare nell’abisso, nel chiuso dell’archè.
La parola greca scotia è tradotta con tenebra, il cui significato deriva dalle radici *ten, trattenere, racchiudere e *br, espandere.
La tenebra, come l’arché e la phýsis, è dunque un abisso racchiuso capace di espandersi, di diradarsi, dando spazio alla luce, che ne squarcia il velo dando visibilità alle cose. Il fulmine, il baleno, non viene riafferrato e tanto meno lo è la luce nel suo significato di Helios, un fuoco non perpetuo, ma sufficientemente permanente per essere un orologio cosmico.
Qui Eraclito ci sovviene rinviandoci alla luce che splende nelle tenebre. Afferma Eraclito nel frammento 99: “Se il sole non ci fosse, per quanto è delle altre stelle sarebbe notte”.
“La luce – commenta Fink – fa luce nelle tenebre. Ciò significa che la cerchia della luce è circondata dalla notte. Le stelle e la luna mostrano la possibilità dell’essere coricate e adagiate, delle luci, nell’oscurità della notte”. [vi]
La potenza di Helios, al contrario, non si adagia, perché Helios è il simbolo del logos.
Il fulmine lascia apparire in un colpo come un colpo di frusta. Il sole lascia apparire con sufficiente permanenza. Il “fuoco semprevivente” del frammento 30 di Eraclito lascia vedere ogni cosa nel suo contorno definito in modo costante.
Scotia, la tenebra, dunque, non può sopraffare il “fuoco semprevivente”, ossia il logos, che è una potenza dell’arché, improntante, governante, custodente, che è “l’uno sapiente”, il sophon: luce della ragione che rischiara il mondo, aletheia dell’Essere e Uno-Tutto (frammento 10 «da tutte le cose uno e da uno tutte le cose»).
Qui ritroviamo anche il significato della prossimità e identità del Dio e del Logos che leggiamo nel Prologo di Giovanni.
Nel frammento 32 Eraclito scrive: “L’uno, che solo è sapiente, non vuole e nondimeno vuole essere chiamato Zeus”.
L’Uno, sophon, logos è chiamato theos.
Per ora rimaniamo con l’attenzione all’arché.
L’arché, la phýsis, l’oscurità da cui prorompe la luce che rende evidente la finitezza di questo mondo, dei mondi è la Grande Madre. La Phýsis è il theion (Anassimandro): il divino illimitato, ingenerato ed eterno (apeiron – Anassimandro), da cui emerge un tempo finito.
L’Essere, ossia il perdurare dell’identico nel differente, non ha fondamento in quanto il suo fondamento è il fondo abissale che si dischiude; è il nascosto “sottosuolo” in cui l’Essere si raccoglie quando si sottrae all’apparire.
Il fondamento è il fondo abissale, la Tenebra.
La Tenebra è anche l’arché nel suo essere nascosta; è phýsis pronta a sbocciare dall’abisso del suo trattenimento.
Il modo di manifestarsi dell’Essere è simile al modo di manifestarsi della luce (pháos, da cui Fanes) che non manifesta se stessa, ma le cose che sottrae all’oscurità per portarle, appunto, alla luce. L’Essere (phýsis), come la luce (pháos) è ciò che porta alla presenza l’ente, ciò che dimorando presso l’ente (pres-ente) lo fa essere e apparire”.[vii]
Oscurità e luce sono simbolicamente rappresentate nel nero e nel bianco del pavimento del Tempio massonico in un ordinato alternarsi che induce a meditare sul kosmos, ossia sulla totalità ordinata degli enti.
Phýsis è Regola che con il Logos si fa regola. La phýsis è l’Essere. Ed è anche arché, “in quanto kinesis. La motilità che la caratterizza non è da riferire allo spazio-tempo, ma a quel venire dall’occultamento (a-létheia) in cui è custodita la verità”. [viii]
“La filologia – scrive Galimberti – riconosce alla parole «essere» tre radici. La più antica è es, in sanscrito asus che significa: vita, vivente, ciò che è in sé e per sé ha vita. L’altra radice indogermanica suona bhûe bhue. A essa si ricollega il greco phýo, che significa schiudersi, aprirsi, germogliare, donde phýsis, phýein che, anche nella traduzione latina che li rende con natura e con nascere, ancora conservano il senso originario di ciò che nasce sbocciando e così, dispiegandosi, germoglia e si manifesta. A questa seconda radice si rifà il latino fui e il tedesco bin (sono) e bist (sei). La terza radice wes che significa risiedere, restare, trattenersi sta alla base del tedesco gewesen (stato), war (era) es west (esiste), wesen (essere) War-sein (essenza) e del latino sens, di prae-sens e ab-sens. «Essere» allora significa nascere, vivere, presentarsi nelle varie forme di vita”. [ix]
Interessante notare come nella lingua etrusca Ais sia il dio e aiser, plurale di Ais significhi gli dèi e come nella cultura druidica Esus sia il divino primordiale.
La luce è Fanes ed è il logos e Fanes, meglio: Phanés è in altri termini Bacco, ossia Dioniso, dio solare, creatore della vita universale sulla terra e forza generatrice dell’Universo; è l’Osiride egizio.
Fanete è uno dei nomi della creatura originaria del sistema mistico orfico, ossia pitagorico e Bacco-Dioniso, in quanto divinità mistico-filosofica celebrata nei Misteri orfici, era chiamato Fanete, al quale erano dedicate le feste chiamate Farai.
Bacco è il verbo ed è stato il primo che ha brillato, all’inizio, nel cuore delle tenebre. [x]
Bacco è dio anacto, ossia Signore; è liberatore, rendentore e iniziatore e come tutte le divinità iniziatrici, ossia che danno avvio all’inizio, è dilaniato e messo a morte.
Bacco è il sole della notte, il corego, colui che allestisce il coro e dirige le stelle; è il sole dei morti, come Osiride; è il sole che a mezzanotte incontrano i massoni nel Tempio la cui volta è il cielo stellato.
Dioniso è strettamente connesso con Apollo, figlio, come la gemella Artemide, di Leto, la Notte e il cui carattere originario è ctonio.
Secondo Carolina Lanzani[xi] il carattere originario di Apollo deve essere collegato con le tenebre e quindi egli è da considerarsi piuttosto come una divinità ctonia, che come una divinità solare. In seguito gli furono attribuite tutte le proprietà del dio sole tanto che fu possibile identificare Apollo con l’Helios-Zeus dei pitagorici (Zeus-Ouranos/Varuna, ossia volta celeste).
Come divinità solare Apollo rappresenta il sole immutabile, eterno, indifferenziabile, principio attivo, causa prima, sole nel cielo. Come divinità ctonica è strettamente connesso con Dioniso, definito da Aristofane (Rane): “Stella splendente dell’iniziazione notturna”.
Non possiamo qui andare oltre nell’approfondimento delle caratteristiche di Dioniso-Apollo e possiamo concludere asserendo che il riferimento a Pitagora nei documenti della massoneria operativa, oltre a condurci nel mondo della matematica, della geometria, dell’armonia e delle bellezza naturale, indica un collegamento radicale con la ritualità orfico-pitagorica e, conseguentemente, con i riti eleusini e di Samotracia che, a loro volta, sono debitori dei riti isiaci e osiriaci.
Va, a questo punto, ricordato che Ermete è un’altra delle forme di Dioniso e Ermete ci introduce ad un altro dei riferimenti essenziali della massoneria operativa.
“Ogni volta che sull’Egitto sorgeva il sole – scrive Tobias Churton – si celebrava la vittoria della luce: l’oscurità scompariva per lasciare spazio alla vita visibile. Per Ermes non faceva alcuna differenza: egli era dio della notte come del giorno, ugualmente a suo agio con la luna e i poteri dell’invisibile, così come con i commerci e le messi del mattino grondanti di sole”. [xii]
“Il culto di Ermes – ci ricorda Churton – era già diffuso prima che Alessandro Magno conquistasse l’Egitto e fondasse Alessandria (331 a.C.). Un secolo più tardi, i coloni greci di questa città iniziarono a chiamare Ermes megistos kai megistos, theos megas (più o meno «grande e grande il grande dio Ermes»)”.[xiii]
In seguito, tra il I secolo a.C. e la fine del II d.C., compaiono gli scritti che sono attribuiti a Ermete Trismegisto e che costituiscono il paradigma dell’ermetismo, comprendente l’astrologia e l’alchimia. Le scuole ermetiche, che sembrano siano state presenti sin dalla fine del I secolo d.C. , conducevano gli allievi a un’esperienza diretta di gnosi. La conoscenza era accompagnata da mondi percepibili dall’occhio illuminato del nous, che in greco significa sia mente, sia spirito.
L’insegnamento principale dell’ermetismo era, ed è: “Conosci te stesso” e guarda al cosmo come ad un continuo miracolo da riprodurre sulla terra.
“Non lo sai, Asclepio, che l’Egitto è l’immagine del cielo? Inoltre è la dimora del cielo e di tutte le forze che stanno in cielo. Se è giusto che diciamo la verità, la nostra terra è il tempio del mondo”.
E’ questa anche l’idea dei massoni operativi: fare della terra il tempio del cielo.
La gnosi, la conoscenza, è volta a conoscere un dio incorporeo, che contiene tutte le cose dentro di sé e che si manifesta attraverso le cose.
“E tu dici: «Dio è invisibile?». Non parlare così. Chi è più manifesto di Dio? Proprio per questo motivo egli ha creato tutte le cose, in modo che tu lo veda attraverso le cose. Questa è la bontà di Dio, che egli si manifesta attraverso tutte le cose. Nulla è invisibile, nemmeno una luce incorporea; il nous viene visto nel proprio pensiero, e Dio nel proprio lavoro”.
L’ermetismo presenta una visione positiva del mondo, che non è altro che il divino manifestato nella natura, e una visione positiva del cosmo, del quale la terra è il tempio.
Veniamo a Euclide (365-300 a.C.), le cui opere in Alessandria furono raccolte da Theon, padre della matematica e fisica Ipazia e custode della biblioteca alessandrina.
Scrive in proposito Barrow: “La geometria non era considerata come una semplice approssimazione alla vera natura delle cose; era parte della verità assoluta circa l’universo. Quasi fossero frammenti di una qualche sacra scrittura, i grandi teoremi di Euclide furono studiati per millenni nella loro lingua originale: erano veri, né più né meno, e consentivano agli esseri umani di dare uno sguardo alle verità assolute. Dio era molte cose, ma indubbiamente era anche un geometra. … La geometria euclidea non era soltanto un gioco di matematici, né una grossolana approssimazione alle cose e neppure un capitolo di matematica pura privo di un contatto con la realtà. Era il modo in cui era fatto il mondo”. [xiv]
La massoneria operativa, in sintesi, incardina il proprio pensiero in quello della Grecia classica e, anche quando guarda all’ellenismo, prende come riferimento un’idea del divino che si manifesta nel mondo, essendo nel mondo, in modo armonico, cosicché l’essere umano è inserito in un ordine cosmico con il quale può collaborare. Gli architetti della massoneria operativa riproducono sulla terra l’ordine celeste, fanno della terra un tempio e sono collaboratori del Grande Arché Tecton.
Diverso è l’orizzonte che ci si presenta quando prendiamo in considerazione la massoneria cosiddetta speculativa, la quale comprende molteplici correnti di pensiero, alcune delle quali conducono ad una vera e propria controiniziazione.
E’ il caso dello gnosticismo, combattuto da Plotino e dai neoplatonici, che concepisce il mondo come una prigione dello spirito, creata da un Demiurgo e dai suoi collaboratori (angeli, arconti, ecc. ) e il corpo come la sua tomba.
L’heimarméne (fato universale), che per gli Stoici era l’aspetto pratico dell’armonia, per gli gnostici diventa la concreta costrizione dell’uomo nel suo essere prigioniero del mondo, che è tenebra.
La luce di un dio nascosto e inaccessibile non viene accolta dalla tenebra del mondo, cui fanno da scudo le sette sfere celesti. Il cosmo è la gabbia che imprigiona lo spirito e il regno del divino inizia dove finisce il cosmo, ossia all’ottava sfera.
L’identità spirituale viene conquistata attraverso una rottura con il mondo, conseguibile o con l’astensione da esso (ascetismo, come quello che ritroveremo nei Catari e nelle correnti mistiche) o con il libertinismo, come quello di Carpocrate e dei Cainiti.
Il disprezzo del mondo, che è tenebra e tiene prigioniero lo spirito, consente, nella interpretazione del libertinismo gnostico, l’utilizzo indiscriminato del mondo, anche nei modi più crudeli.
Nella divisione degli esseri umani tra ilici (corporei), psichici (mentali) e pneumatici (spirituali), l’interpretazione estremistica assegna agli pneumatici la condizione di esseri salvati per la loro stessa natura. “La conseguenza pratica di ciò – scrive Hans Jonas, il maggior studioso dello gnosticismo – è la massima dissolutezza, che permette al pneumatico l’uso indiscriminato del regno naturale”. [xv]
“Secondo i loro scritti – scrive degli gnostici Ireneo -, le anime prima di partire del corpo devono aver provato ogni modo di vita e non devono aver lasciato residuo di sorte da compiere….”. [xvi]
Da qui anche l’idea che nel peccare si conduce a termine una specie di programma.
Si ha così “il peccato come via di salvezza” – commenta Jonas – è “l’inversione teologica di peccato stesso: uno degli antecedenti del satanismo medievale, e, anche, un archetipo del mito di Faust”. [xvii]
Così come Pitagora, Euclide, Hermes il filosofo sono “cosmici”, ossia concepiscono il cosmo come ordine e armonia, gli gnostici sono “a-cosmici”, perché il cosmo per loro è di per se stesso demoniaco. (Per approfondimenti dello gnosticismo rinvio allo studio di Hans Jonas).
Vorrei, avviandomi alla conclusione di questa riflessione, ricordare come la frase del Vangelo di Giovanni: “ma le tenebre non l’hanno ricevuta”, riferita alla luce, potrebbe, nell’ottica gnostica, acquistare un significato ben diverso da quello che, a mio modesto parere, ha, in coerenza con il testo precedente.
Traendo le somme da quanto sin qui detto, credo si possa affermare: 1) che il tema della luce e delle tenebre costituisca uno spartiacque tra il pensiero cosmico al quale si riferivano i liberi muratori operativi e quello a-cosmico al quale si riferiscono correnti di pensiero che sono presenti nella cosiddetta massoneria speculativa; 2) che la massoneria operativa rappresenti la radice limpida della tradizione latomistica; 3) che le correnti di pensiero che innervano la massoneria cosiddetta speculativa vanno frequentate “cum grano salis”, per non dire con sospettoso spirito critico.
Infatti, e per concludere davvero, l’estremismo gnostico libertino può condurre all’idea che una “fratellanza” di sedicenti pneumatici, nel più totale disprezzo del mondo in quanto ritenuto tenebra prigione e convinti che del mondo, così come del corpo, si possa fare strazio, stenda sul mondo la tracotante violenza dei controiniziati, che l’umanità, purtroppo, ha già conosciuto nei secoli e continua a conoscere.
Non va dimenticato che allo gnosticismo radicale si accompagnano le teorie apocalittiche, con la conseguente idea della battaglia finale tra il bene e il male. E in questo orizzonte apocalittico i controiniziati sanno ben cammuffarsi da “guerrieri delle luce”.
Torniamo, pertanto, alle cattedrali, alle grandi strutture megalitiche, alle piramidi, al tempio del cosmo sulla terra, all’armonia del divino nel mondo e ad essere collaboratori dell’Arché Tecton. Torniamo alla massoneria operativa e ai suoi limpidi paradigmi iniziatici.
[i] Giorgio Colli, La sapienza greca, Adelphi.
[ii] Eugen Fink, Le domande fondamentali della filosofia, Donzelli editore
[iii] Martin Heidegger, Eugen Fink, Eraclito, Laterza
[iv] Martin Heidegger, Eugen Fink, Eraclito, Laterza
[v] Martin Heidegger, Eugen Fink, Eraclito, Laterza
[vi] Martin Heidegger, Eugen Fink, Eraclito, Laterza
[vii] U.Galimberti, Il tramonto dell’Occidente, Feltrinelli
[viii] Umberto Galimberti, Il tramonto dell’Occidente, Feltrinelli
[ix] Umberto Galimberti, Gli equivoci dell’anima, Feltrinelli
[x] Vedi Paul Vulliaud, Il pensiero esoterico di Leonardo, Mediterranee
[xi] Carolina Lanzani, Religione dionisiaca, Melita
[xii] Tobias Churton, Le origini esoteriche della massoneria, Fabbri
[xiii] Tobias Churton, Le origini esoteriche della massoneria, Fabbri
[xiv] John D.Barrow, Da zero a infinito, Mondadori
[xv] Hans Jonas, Lo gnosticismo, Sei
[xvi] Hans Jonas, Lo gnosticismo, Sei
[xvii] Hans Jonas, Lo gnosticismo, Sei