di Silvano Danesi
Ark-ka, un canto pieno di gioia
L’oscura origine è l’arché, la racchiusa, la tenebra e il canto è la sua parola, ossia il Logos, che è ark-ka (l’arca dell’alleanza, l’arc en ciel, il ponte). L’arco, l’arcobaleno, l’Arco reale, è la parola sapiente del dio.
Dionigi Areopagita parla del divino come di colui che ha posto nelle tenebre il proprio nascondiglio, luogo ove “i misteri semplici e assoluti e immutabili della teologia”, ossia del parlare del divino, “sono svelati nella caligine luminosissima del silenzio che insegna arcanamente”. [i]
Bernardo Silvestre (Schola di Chartres), nel suo commento al “De Nuptiis” di Marziano Capella scrive. “In una certa traduzione della Genesi si legge che lo spirito del Signore covava le acque; e «acque» e «abisso» significano l’insieme degli elementi non ancora reso splendente dal suo ornato: e su di esso, come una chioccia sull’uovo rotondo, perché ne esca il pulcino, incombeva lo spirito di Dio, mentre preparava quella materia a produrre da sola i viventi”. [ii]
La Genesi inizia con la parola Bereshit. Beit ha il significato di forma, di casa, di recipiente: è la prima lettera della Torà, la lettera della creazione. Reshit ha il significato di primazia, di principio di qualcosa (resh è testa, rosh è capo). Barà è creare, dividere.
Bereshit, quindi, contiene in sé il concetto di un contenitore di un principio, di una casa di un principio. Bereshit è la potenza del pensiero contenuta in un contenitore. La seconda parola della Bibbia è il verbo barà, ossia dividere. Il puro pensiero si stacca dal suo contenitore.
Il puro pensiero, anche in questo caso, reso con una parola che inizia con il suono R, è pensiero in movimento.
La serie runica che precede Raidô rappresenta “il soffio non ancora modulato, non ancora divenuto parola”[iii] , la potenza del Caos non ancora ordinato dalla parola ordinante del Verbo, la “potenza racchiusa nella «pietra» che può essere ridestata e ordinata”[iv] e il soffio vitale, l’energia divina che anima il cosmo.
Siamo, con tutta evidenza, di fronte al racconto sapienziale della manifestazione.
Il tema della Parola come agente della manifestazione è stato, non a caso, introdotto, sia pure in epoca tarda, nei rituali massonici con l’utilizzo del Vangelo di Giovanni aperto al Prologo e che costituisce, alla luce di quanto sin qui detto, una chiave interpretativa dell’insieme dell’apparato archetipico e simbolico della Massoneria.
Nel Vangelo di Giovanni, con il quale si aprono i lavori massonici, è scritto. “In principio era il Verbo (logos, ndr) e il Verbo (logos, ndr) era presso Dio [theon,ndr] e il Verbo (logos, ndr) era Dio [theos, ndr]”.
Per i Druidi, scrive Jean Markale, la creazione è continua e perpetua e Dio non è, ma diviene. [v] Ed è così anche per Giovanni, visto che Théos, come s’è visto, deriva da theeîn, correre e theâsthai, vedere e dà, pertanto, l’idea di un procedere verso l’evidenza, di un continuo manifestarsi. In Théos è racchiuso il significato di un continuo muoversi verso la manifestazione.
La Mason Word, dunque, si riferisce alle antiche tradizioni della parola creatrice e al segreto che è ad essa connesso.
Ma davvero la Mason Word può dare la seconda vista? Cosa significa?
Significa, probabilmente, in accordo con gli antichi Misteri, che il viaggio iniziatico porta l’iniziato all’epopteia, al “guardare sopra”, ossia all’acquisire un’altra visione della vita, del mondo, dell’origine, della manifestazione che avviene attraverso la Parola Indicibile. Nel viaggio l’iniziato scopre il suo Sé, si riappropria della sua essenza e dell’Essenza e così cambia il suo modo di vedere. La frequentazione di miti, simboli, archetipi, ha cambiato il suo punto di vista, la sua mentalità e allora non cerca più di “dire” la Parola Indicibile o di spiegarla, ma di “incontrarla”, laddove è possibile: “la incontra al suo oriente”. [vi] Il nuovo modo di pensare dell’iniziato è un “passare dal concetto alla metafora”, [vii] che è “la parola che porta fuori (meta-phorein) l’Ineffabile”. [viii]
L’iniziato, andando incontro a se stesso, incontra il Logos, all’Oriente, in quanto il Logos orienta, dà senso al non senso, dà visibilità e senso all’abisso primordiale, estrae l’ordine dal chaos, differenzia l’indifferenziato, manifesta l’immanifesto (il Nun, l’abissale inconscio collettivo, l’oceano primordiale, la racchiusa Arché).
La nuova vista vede, grazie alla Parola Indicibile, ciò che di volta in volta si rende evidente, ma è anche affamata di nuove visioni, poiché ha imparato a “guardar sopra”, inseguendo il fondo abissale dal quale emerge il manifesto.
Eraclito scrive: “Il dio è giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazietà e fame, e muta come il fuoco quando si mischia ai profumi odorosi, prendendo di volta in volta il loro aroma”.
La seconda vista è un “annusare”, un percepire, un “guardare oltre” ciò che la Parola Indicibile rende manifesto, perché la Parola Indicibile, il Logos orienta e orientando indica l’oltre: un viaggio infinito verso l’infinito.
L’egizio Thoth (l’Ermete Trismegisto dell’ellenismo) era detto “naso”.
Vedere è inseguire l’Oriente: orizzonte che si sposta mentre il cammino procede.
Troppi cialtroni, sedicenti massoni e maestri, assetati solo di potere, schiavi di un Ego gonfio e tronfio, illudono degli assetati di conoscenza con la promessa di svelare segreti che solo loro posseggono, essendo giunti agli Alti Gradi, meglio ancora: al Vertice degli Alti Gradi e così vendono finte verità in cambio di sottomissione.
La “Parola indicibile” è, dunque, il Verbo, il Logos e poiché, come insegna Giovanni: “In Arché era il Logos e il Logos era presso Theon e il Logos era Theos”, il Logos-Leone non è altro che l’Arché che, pronunciandosi, si rende evidente, ossia conoscibile (vid-vedere) come ente. E Giovanni ci guida alla Parola che diviene dicibile, pronunciabile, se noi diciamo di noi stessi: “Io sono la via, la verità e la vita”; se riconosciamo il Divino in noi.
La parola è, dunque, azione creatrice.
La Verità è un orizzonte che si sposta verso l’Oriente
La Verità è come l’orizzonte: si sposta man mano cammini. Il viaggio presenta ad ogni passo scenari nuovi, ma ad ogni passo ne sopravviene un altro.
Camminando sulla superficie della sfera del manifesto l’orizzonte è mutevole ed ogni verità è provvisoria. Accade allora che ci si rivolga al centro, ma ci rendiamo conto che quel centro è il nostro centro e la verità che vi troviamo è la nostra verità.
Brian Josephson, premio Nobel per la Fisica nel 1973, ritiene che vi siano tre ordini di realtà fisica che possiamo descrivere come classico, quantistico e implicato (teoria di Bohm: ordine atemporale e aspaziale, definito Olomovimento).
“La corrispondenza tra i vari ordini – chiarisce Odifreddi – non è soltanto metafisico, ma costituisce una vera e propria identità: in particolare la mente è l’esperienza del livello quantico della realtà, mentre la meditazione, o l’illuminazione, permette di sperimentare l’ordine implicato”. [ix] L’illuminazione dei Misteri è l’epopteia: la capacità di vedere sopra.
L’incontrare la Parola Indicibile, l’andare incontro al nostro Sé, introduce il tema della salvezza.
La salvezza
La soteriologia (dal greco soteria= salvezza e logos=parola, ragionamento) è lo studio della salvezza nel senso di liberazione da uno stato o da una condizione non desiderata.
Alcune soteriologie enfatizzano l’unione con Dio o con gli Dèi o la relazione con Dio o con gli Dèi, mentre altre enfatizzano più fortemente il coltivare la conoscenza o la virtù.
Il primo approccio rimanda più propriamente al concetto di redenzione, laddove la liberazione è connessa con il concetto di riscatto e presuppone l’intervento esterno di un agente riscattante.
Nel secondo approccio riscontriamo un evidente collegamento con il percorso massonico.
Nel rituale, alla domanda: “A quale scopo ci riuniamo?”, il Primo Sorvegliante risponde: “Per edificare Templi alla virtù, scavare oscure e profonde prigioni al vizio, lavorare al bene e al progresso della Patria e dell’Umanità”.
L’intero percorso massonico è volto alla conoscenza e in particolare alla conoscenza di se stessi. Gli antichi Egizi dicevano che l’uomo è venuto al mondo per conoscere il proprio nome segreto (Ren) e conseguentemente seguire la retta via che, detto con parole di un’altra cultura, ottimizza il karma, ossia l’azione. Conoscere la retta via con la quale si manifesta il karma è conoscere il proprio destino ed essere capaci di realizzarlo al meglio.
E’ interessante notare come il concetto di karma, particolarmente sviluppato nelle culture orientali (induismo, buddismo) possa, in ambito greco, essere fatto risalire al termine carmé, l’ardore bellico (connesso con kairo, karmene e, appunto, karma). Termine, quello di karmé, che in origine significava “gioia”, la gioia del guerriero di dare libero sfogo alla sua energia. In questo ambito semantico, possiamo attribuire al termine karma il significato di liberazione delle proprie energie, di manifestazione concreta di ciò che è racchiuso in noi. Il karma è pertanto la manifestazione del nostro nascosto progetto.
Cos’è la virtù? Virtutem, accusativo di virtus, indica valentia, valore, forza (da vis). Al concetto di virtù è accostato quello del vizio, che alcuni vogliono derivante da evitare, schivare e altri da un tema viet, sanscrito vyath-ate dal significato di vacillare.
Ancora una volta il rituale non ci consegna una lezione moralisteggiante, ma ci indica un metodo.
Si raggiunge la salvezza allorquando, con la conoscenza di se stessi, del proprio nome segreto (Ren) e della Natura, frutto di valore, di valentia, di forza e di eccellente ricerca, si percorre la retta via del karma, ossia dell’azione che noi stessi ci siamo dati come compito da eseguire in questa vita per accrescere la Conoscenza complessiva nostra e dell’universo.
Il vizio è il vacillare, lo schivare gli ostacoli, l’evitare le prove, l’abbandonare la retta via per perdersi per strade secondarie.
La verità
Il tema della salvezza è connesso con quello della verità.
Quando noi cerchiamo, attraverso la realizzazione delle nostre energie interne nascoste e racchiuse nel nostro progetto di vita, seguendo la legge del karma, di conoscere la nostra verità, imitiamo il processo (via cammino) attraverso il quale l’Essere Nascosto si svela (a-letheia, verità) nella manifestazione.
L’Essere o, in altri termini, l’Arché nascosta, la Tenebra, da cui emana la luce, infatti si svela, si presenta stando nascosta e nel Logos si dà, sottraendosi.
L’Essere, come suggerisce in molte sue opere Umberto Galimberti, si presenta (a-letheia = verità), assentandosi (lantháno). Il Logos (tutto raccolto in ordine) abita nella verità.
La verità è, dunque, la manifestazione stessa dell’Arché, la Natura, il cosmo che esce dal caos del nascondimento e che nel Logos trova il suo ordine.
La verità, in quanto manifestazione, implica il segreto, ossia la non presenza della verità, il suo nascondimento e pertanto, avere consapevolezza del segreto è avere consapevolezza dell’Essere.
Nel nostro procedere sulla via del karma, lo svelarsi del nostro progetto nelle nostre azioni, ci rinvia al nostro segreto.
La verità è stata declinata in molti modi. Nel mondo induista, come dharma, è la consapevolezza del percorso, della retta via, del compito che ogni essere si è dato per fare esperienza di sé nel manifestato.
Nel mondo occidentale, come suggerisce ancora Galimberti, la verità ha abbandonato il suo essere a-letheia, per affermarsi come orthótes, ossia come “esatta corrispondenza” tra il vedere (ideîn) e ciò che è visto (eîdos).
L’Occidente ha così perso il segreto, ossia la consapevolezza del Nascosto, della Nascosta Arché, la Tenebra, che si svela e che nel Logos ha la sua dinamica manifestativa. E il nascosto è il sacro.
In Occidente l’uomo ha contemporaneamente perso il senso del proprio segreto, che nell’azione si svela e si manifesta, in quanto interpreta le proprie azioni, il proprio karma, come a-letheia, verità, liberazione della propria energia nascosta. L’uomo occidentale colloca le proprie azioni in ambiti valutativi esterni (efficienza, progresso, richiesta di legittimazione, ecc.). La conoscenza di sé è alienata. Il karma è delegato.
Giovanni, nel suo Vangelo (14,6) alla domanda di Tommaso: “Chi sei?”, fa rispondere a Gesù: “Io sono la via , la verità e la vita”.
Nel testo greco, ódòs è via, cammino e implica il camminare, il procedere, il muoversi verso. Verità è a-letheia, ossia non-nascondimento. Infine, vita nel testo greco è zoé, vita naturale universale, ossia Natura.
Gesù dice di sé di essere un cammino, ossia un procedere verso, di essere manifestazione, non-nascondimento e Natura.
Siamo in presenza di una dinamis che manifesta il Nascosto nella Natura e questa dinamizzazione del Nascosto è il Logos.
L’azione (Verbo, Parola, Relazione, Logos) svela l’Essere e ne manifesta l’energia trattenuta.
La Parola perduta è la perdita del Logos come Parola che parla della relazione tra il Nascosto e il Manifesto e che parlando del Nascosto, o meglio la Nascosta, la Vergine (racchiusa in se stessa), ne manifesta l’energia trattenuta, ossia genera mondi.
“Tutto intorno a noi – scrive Maurice Cotterel (Cronache celtiche, Corbaccio) – è una manifestazione di Dio, in forma fisica o energetica. Il fiore non è un fiore, ha solo l’aspetto di un fiore, in realtà è Dio mascherato”.
Lo spirito incarnandosi ha preso forma ed è divenuto materia.
Lo spirito non ha un corpo; è corpo. E’ il nostro corpo animato che ogni giorno svela nelle nostre azioni (pensieri, parole, opere)il nostro progetto di vita.
La salvezza, indagando se stessi (nella completezza del proprio essere e del proprio esistere come corporeità animata) e la Natura, è ritrovare la Parola perduta: il Logos nella sua potenzialità relazionale e generatrice, che rinvia al segreto della consapevolezza del Nascosto e il nostro Logos, che ci parla di noi e ci realizza. Possiamo così anche noi dire: “Io sono la via, la verità e la vita”, usando non il termine greco zoé, ma bios, vita particolare, individuale.
segue
[i] Dionigi Areopagita, Tutte le opere, Rusconi
[ii] Bernardo Silvestre, in Il divino e il megacosmo – Testi filosofici e scientifici della scuola di Chartres, Rusconi
[iii] Mario Polia, Le rune e i simboli, Il cerchio-Il corallo
[iv] Mario Polia, Le rune e i simboli, Il cerchio-Il corallo
[v] Jean Markale, Il Druidismo, Mediterranee
[vi] H.Corbin, Avicenne et le récite visionnaire, citato in Umberto Galimberti, Cristianesimo – La religione del cielo vuoto – Feltrinelli
[vii] H.Corbin, Avicenne et le récite visionnaire, citato in Umberto Galimberti, Cristianesimo – La religione del cielo vuoto – Feltrinelli
[viii] H.Corbin, Avicenne et le récite visionnaire, citato in Umberto Galimberti, Cristianesimo – La religione del cielo vuoto – Feltrinelli
[ix] Piergiorgio Odfreddi, Il Vangelo secondo la scienza, Einaudi