di Silvano Danesi
Il “Nome Indicibile”
Nella leggenda del 13° grado, non è conservata la “Parola Indicibile”, ma il “Nome Indicibile” dell’Essere supremo, del quale è smarrita la chiave della pronuncia, incisa su una colonna di marmo.
In questo caso è il marmo a darci un indizio. Il marmo, carbonato di calcio, è pietra e pertanto il “Nome indicibile” dell’Essere supremo è inciso nella pietra.
La pietra è simbolicamente la Natura (vedi il mio: Tu sei Pietra”) e il “Nome ” dell’essere supremo, che nominandosi si fa ente ed evidente nella Natura, è la serie infinita delle infinite determinazioni dell’Essere negli enti.
Come direbbe il taoista: “Il Tao di cui si può parlare non è l’eterno Tao, il nome che può essere nominato non è l’eterno nome”. E ancora: “«Non-essere» è il nome che diamo all’origine del cielo e della terra, «essere» è il nome che diamo alla madre di tutte le creature…..Pur avendo nomi differenti, i due hanno origine comune. Ciò che hanno in comune, lo chiamano «oscuro», oscuro e ancora più oscuro, la porta di tutti i portenti”.
In un quadro di Nicolas Poussin, I pastori in arcadia (1640 circa), ispirato dal gesuita Athanasius Kircher, su una tomba di marmo si legge: “Et in arcadia ego”.
Ben oltre ogni fantasmagorica interpretazione, il significato è abbastanza chiaro. Il Logos determina, manifesta, il Nascosto nell’arcadia, ossia nella Natura.
L’Arco Reale
Interessante è anche la similitudine dei luoghi dove sono custoditi la “Parola indicibile” e il “Nome indicibile”: la prima nell’Arca e la seconda sotto un arco.
L’Arca, radicale di Arc-Alc ha il significato di riposo, protezione (sanscrito Raksami) è indicativo di una linea curva, di un gomito.
Arco e Arca ci introducono ai misteri dell’Arco Reale.
La prima chiara menzione dell’Arco Reale è del 1744 (Massimo Graziani, Il rito di York, Bastogi) e, come scrive ancora Graziani, il “primo rituale che può essere ricondotto all’Arco Reale fino ad ora scoperto risale al 1760 circa ed è incluso in un manoscritto francese della collezione di Heaton-Card che si trova nella biblioteca della Freemasons’ Hall ed è scritto in francese. Nella parte relativa ad un originario cerimoniale, si parla di una camera sotterranea sostenuta da nove archi, che si raggiunge scendendo nove gradini e che viene aperta e chiusa bussando nove volte. Una luce indica il cammino verso la camera sotterranea. Nella spiegazione della tavola di tracciamento si dice che il sole è la vera luce che serviva a guidare i nove Fratelli che avevano scoperto grandi segreti; sulla tavola sono dipinti nove archi, la volta di una camera sotterranea e i nove gradini “che servivano a scendervi dentro”, una pietra con un anello che chiude la camera, una torcia spenta dal sole del simbolismo dell’A.R., un vassoio triangolare d’oro che reca il Nome Sacro”. [1]
“Nei documenti anora rimasti anteriori al 1723 – scrive in proposito Laurence Gardner – anno dell’uscita della Costituzione massonica di Anderson, si precisa non meno di 23 volte che il Capitolo dell’Arco Reale altro non fa che perseguire l’Arte Reale, parole che sempre vengono scritte in evidenza, in carattere maiuscolo o corsivo. Sin dall’inizio, d’altra parte, si pone la domanda: «Da dove deriva la linea dell’arco?». Cui segue la risposta dell’affiliando: «Dall’arcobaleno». Vale a dire una risposta perfettamente allineata con il concetto di «luce ricurva»”. [2]
Abbiamo dunque in evidenza il concetto di luce ricurva dell’arcobaleno, ponte tra il cielo e la terra.
Qui giunti si rendono necessarie alcune precisazioni.
La massoneria del Real Arco è confusa con il Rito di York, è “pervasa dal più intransigente puritanesimo” (Porciatti) e alla sua fortuna hanno “contribuito probabilmente i Gesuiti” (Porciatti).
Il Rito dell’Arco Reale si è sviluppato in ambiente Antient, che ha rivendicato anche la paternità del Rito di York, ma il Rito di York originario evoca radici ben più antiche connesse con la presenza in Scozia dei Culdei.
“I Culdei di York – scrive Leadbeater – erano fra i guardiani della tradizione massonica del Decimo secolo e gli Antichi Doveri ricordano un’assemblea di massoni che si tenne a York durante il regno di Athelstan in cui l’arte fu riorganizzata”. [3]
“Una linea di tradizione degna di essere menzionata – aggiunge Leadbeater – connessa in certo modo con la massoneria di mestiere, ma ancor più con l’Ordine Reale di Scozia e il 18° grado si trovava tra i Culdei d’Irlanda, di Scozia e di York”. [4]
I Culdei erano monaci cristiani di ascendenza druidica e tra gli iniziati dei riti culdei Iona, uno dei centri antichi del druidismo, era chiamata Heredom (denominazione alla quale si riferisce il Rito di Perfezione nato in Francia in ambito giacobita). L’isola di Iona, infatti, uno dei cuori della chiesa cristiano celtica, era chiamata dagli isolani Inis nan Druidhneah (l’isola dei Druidi), intendendo che prima della venuta di San Columba nel 563 d.C. eran un centro dell’antica devozione druidica.
Il regno celtico di Dalriada è durato fino al tempo di Giacomo VI, erede di un Giacomo, Lord Stuart di Scozia, che fu Gran Maestro di una Loggia costituita a Kilwinning nel 1286 subito dopo la morte di Alessandro III (Leadbeater).
E’ del tutto evidente che il Rito Scozzese è maturato nell’ambiente della corte stuardista in esilio in Francia e la linea stuardista conduce a York, alla tradizione culdea e al druidismo.
Il riferimento all’Arco reale, confuso con il Rito di York in versione Antient, va pertanto rivisitato in un’altra chiave e questa può essere rinvenuta, come afferma Porciatti, “nell’austera veste” del Rito Scozzese.
Fatte queste necessarie considerazioni, credo si possa andare oltre l’orizzonte giudaico-cristiano, non solo nella direzione culdeo druidica, ma anche, com’è giusto che sia, in quella di altre grandi tradizioni iniziatiche, come l’egizia.
Ci si riferisce spesso all’Arco Reale del Tempio di Salomone, ma nella Bibbia non c’è traccia di questo arco, anche se Ezechiele nella sua visione del secondo tempio cita spesso gli archi che abbracciavano le colonne intorno ai vari cortili.
“Invece di riferirsi alla loggia del Tempio salomonico di Hiram Abiff (come è nel conseguimento del terzo grado massonico), il rituale dell’Arco Reale – scrive Gardner – si focalizza su un evento ancora precedente; si collega a quella che è considerata la prima autentica loggia, la loggia «del Monte Horeb nel deserto del Sinai», presieduta da Mosè in persona, Abihu (uno dei figli di Aronne) e Bezaleel, l’artefice”. Gardner ipotizza che l’Arca dell’Alleanza fosse uno strumento che producendo un Arco Reale fosse in grado di creare la sacra pietra (manna) ricavata dalla polvere bianca ottenuta dall’oro. Una polvere superconduttiva denominata Ormus o Mfkzt. E Ormus è nome che è strettamente connesso con il Priorato di Sion e con i Templari (vedi in proposito il mio: Tu sei Pietra).
A 800 metri di altezza, nella piana sabbiosa di Paran, c’è il monte Horeb, il monte di Mosè. Oggi la località è chiamata Serâbit el Khâdim. L’archeologo Petrie scoprì su una piattaforma di circa settanta metri, partendo da una vecchia grotta artificiale, le rovine di un vecchio tempio della IV dinastia attivo già al tempo del faraone Snefru, nel 2600 a.C. e rimasto attivo fino al XII secolo a.C. I reperti partono dalla IV dinastia e arrivano alla XVIII e ai Ramessidi della XIX. Il tempio era quindi ancora attivo al tempo di Akhenaton, da molti studiosi ormai messo in relazione diretta con il Faraone di Tel Amarna, propugnatore del monoteismo. Il tempio era dedicato ad Hator.
La polvere MFKZT, trovata dall’archeologo Flinders Petrie sul monte Horeb, attualmente Serabit El Khadim, nel tempio di Hator, è stata fortunosamente ricavata recentemente. David Hudson, un coltivatore americano che voleva ammorbidire il suo terreno con dei componenti chimici, prima di effettuare l’operazione decise di far analizzare dei campioni. Durante le analisi si verificò uno strano fenomeno: il residuo secco esposto alla luce del sole e al calore generava un lampo di luce bianca, accecante e svaniva. Nel crogiolo, dove il campione era stato miscelato con del piombo, rimaneva un amalgama pesante, ma fragile, che si sbriciolava al colpo del martello. Analisi più specifiche, condotte presso l’Accademia sovietica delle scienze, evidenziarono la presenza di palladio, platino, rutenio, iridio: tutti elementi del gruppo del platino. Era la polvere MFKZT. Quando mutava il suo aspetto da scura a bianca sfolgorante, la sostanza si tramutava in polvere e il suo peso scendeva fino al 56% di quello iniziale. Dove finiva il 44%? Si comprese in seguito che levitava e trasferiva la sua leggerezza agli oggetti con cui veniva a contatto, che, in alcuni casi, levitavano anch’essi. La polvere si comportava come un superconduttore. Il campo magnetico terrestre è in grado di fornire energia a un superconduttore facendolo levitare e questo, quando levita, si comporta come un riflettore di luce. Inoltre, nel caso di due superconduttori attivi in collegamento, si verifica un altro fenomeno, detto “coerenza quantica”, durante il quale avviene il trasferimento di luce fra i due. E’ stata studiata la possibilità che con un superconduttore mono atomico, proprio come la polvere MFKZT, si possa costruire una batteria energetica che una volta attivata dura all’infinito. Altri studi hanno portato a prevedere la possibilità, con l’utilizzo della polvere monoatomica, di distorcere lo spazio tempo. La MFKZT risuona in una dimensione differente e in determinate circostanze diventa invisibile. Quando il peso del campione analizzato toccava lo zero, il campione svaniva materialmente per riapparire applicando il processo inverso. Distorcere lo spazio tempo vuol dire, ad esempio, che se ad un’astronave si espande lo spazio tempo nella sua parte posteriore e lo si contrae nella parte anteriore, questa può compiere enormi quantità di spazio in pochissimi millesimi di secondo. La distorsione dello spazio tempo veniva chiamata dagli antichi Egizi piano di Shar On o Campo di MFKZT. Si tratta del campo delle super stringhe, dove la materia entra e esce dal mondo che conosciamo. Non vediamo più la luce dell’oggetto, che diviene invisibile.
Si è anche scoperto che i metalli del gruppo del platino monoatomico entrano in risonanza con il DNA e possono avere effetti curativi sul cancro, rettificando le cellule malate. Infine, quando la polvere ricavata dall’oro o dal gruppo del platino viene sottoposta a temperature particolari, si trasforma in vetro, colorato a seconda del metallo usato. Un vetro limpido trasparente senza la perdita di luce.
L’Egitto ci riserva molte sorprese.
“Una delle parole chiave simboliche trattate nell’Arco Reale – scrive Gardner – una parola che la tradizione dice essere stata scoperta nella grande cripta che stava sotto al primo Tempio, emersa nell’atto dell’erezione del secondo, quello voluto dal principe Zorobabale, è Jah-Bul-On. Trovata incisa su una placca dorata, la parola è una contrazione sintetica di una combinazione di parole che vogliono dire: «Io sono il Signore, il Padre di ogni cosa». Nella Massoneria questa definizione si riferisce al Grande Architetto dell’Universo. Scomponendola, scopriamo che Jah lo ritroviamo nel Salmo 68:4 (“Io sono”), Bul era un vocabolo canaanita (“Signore”) e On sta per “Casa del Sole”, che in traduzione suona come: «Io sono il Signore On». Ma, come sappiamo, il termine On (così come menzionato in Genesi 41:45 in riferimento alla città sacra di Heliopolis) aveva uno specifico legame con il concetto di Luce. Una versione completa e più accurata del nome è senz’altro: «Io sono il Signore della Luce»”.
Heliopolis ci riporta alla IV e alla V dinastia e ai Testi delle Piramidi, che si vorrebbero trascritti dal faraone Unas sulla base di testi antichissimi.
L’Arco Reale, se andiamo oltre il ristretto orizzonte giudaico cristiano nel quale è stato costretto da una cultura protestante hannoveriana e cattolico giacobita, ci conduce, pertanto, nel più profondo dei misteri d’Egitto e di quell’Arca che Manetone, sacerdote egizio, diceva essere strumento sacro sottratto dagli Ebrei in fuga (o meglio da Akhenaton, alias Mosè, mandato in esilio dal sacerdote Ay, retauratore del culto di Amon).
“Nella più moderna Massoneria – scrive Andrew Sinclair – pochi alti gradi erano ambiti come quello del Santo Arco Reale di Gerusalemme, i cui misteri furono trasmessi dal Rito Scozzese Antico, portato in Francia dai Giacobiti all’inizio del XVIII secolo….”. [5]
Siamo in presenza di indicazioni che invitano ad approfondimenti relativi ad una catena iniziatica e sapienziale che nell’Egitto del grande Thoth ha avuto uno dei suoi periodi di massimo splendore e che i Templari hanno con tutta probabilità recuperato in parte.
[1] Marino Graziani, Il Rito di York, Bastogi
[2] Laurence Gardner, I segreti della Massoneria, Newton Compton
[3] Charles W Leadbeater, La massoneria e gli antichi misteri, Atanor
[4] Charles W Leadbeater, La massoneria e gli antichi misteri, Atanor
[5] Andrew Synclair, Rosslyn, la cappella del Graal, Ed. Età dell’Acquario